Il “Faro” D.O.C. è un vino che si presenta dal colore rosso rubino più o meno intenso, tendente al rosso mattone con l’invecchiamento (obbligatorio, di un anno). Il suo profumo è delicato, etereo e persistente. Il suo sapore è secco, armonico e di medio corpo. E’ conosciuto  nel mondo per la sua spiccata personalità e per la sua consistenza.

Viene prodotto da uve di:

  • Nerello Mascalese (dal 45 al 60%);
  • Nerello Cappuccio (dal 15 al 30%);
  • Nocera (dal 5 al 10 %);

Possono aversi eventuali aggiunte di Nero d’Avola e/o Gaglioppo (detto anche Monsonico Nero) e/o Sangiovese e/o altre uve a bacca rossa autoctone (massimo 15 %).

Il clima mite e le caratteristiche del terreno, la particolare selezione delle uve che avviene scrupolosamente a mano, le tecniche di pigiatura soffice e il controllo attento dei tempi di fermentazione e maturazione, fanno di questo vino uno dei “rossi” più ricercati della Sicilia.

Ha una gradazione alcolica di 12° ed è consigliabile di servirlo in calici ballon ad una temperatura ottimale di 16 -18°C.

Usato solitamente come vino da pasto, si accosta ottimamente ai primi piatti conditi (ad es. fettuccine al ragù, lasagne alla bolognese, timballo di riso farcito di polpettine in umido), a tutti i tipi di arrosto con sughi saporiti (ad es. agnello in fricassea, cappone in umido, bollito misto, spalla di maiale al forno) e ai formaggi stagionati (pecorino siciliano, caciocavallo, ragusano, ecc.).

 

LA ZONA DI PRODUZIONE:

La sua zona di produzione si sviluppa nel comune di Messina. Inizialmente,  comprendeva solo i territori di Capo Peloro, Sant’Agata e Ganzirri, sulle colline che sovrastano lo splendido scenario dello Stretto di Messina, in un’area della Sicilia che vanta un’antichissima vocazione vitivinicola. Lo testimoniano anche gli scambi commerciali dei Fenici all’inizio del primo millennio A.C..

Nel tempo, la zona si è estesa da Giampilieri a Ponte Gallo, passando per i monti Peloritani.

In queste zone, i terreni di coltivazione sono bruni, leggermente acidi e tendenzialmente compatti e generalmente molto fertili. La pendenza, che supera il 70 %, ha imposto la costruzione di numerosi terrazzamenti, strie di muretti a secco che definiscono le colline poste a 250 metri sul livello del mare, con coltivazioni esclusivamente autoctone, su terreni argilloso calcarei arricchiti anche dalle ceneri dell’Etna, ricche di sali minerali.
ORIGINI STORICHE:

Come testimoniano alcuni reperti rinvenuti soprattutto nelle isole Eolie, pare che il vino Faro venisse prodotto già in età Micenea (XIV secolo a.C.).    Dovrebbe le origini del suo nome ad un’antica popolazione greca, i Pharii, emigrati provenienti dalla città di Pharis, vicino al monte Taigeto (in Laconia, nel Peloponneso).

Spostandosi a Messina alla ricerca di una migliore qualità di vita, s’insediarono sulle colline peloritane che chiamarono Monti Pharii e vi costruirono un villaggio detto “Casale del Faro”, oggi Faro Superiore, ubicato in contrada Casalotto o Piano Palmara.

Essi rilevarono una vasta area che ritennero potesse essere vocata alla produzione di Vitis Vinifera, dedicandosi così, con cura, alla coltivazione dei campi ed alla coltura del baco da seta.

Nel 1848 si calcola che gli ettari coltivati a vite fossero 18.000 in totale, nell’intera provincia di Messina; nell’ultimo decennio dell’Ottocento raggiunsero i 40.000 e la produzione annua di vino arrivò a 500.000 hl.

L’affermazione definitiva del vino Faro si ebbe nel 1870, quando si registrò un incremento delle esportazioni sia in America che nel Nord Europa  (in particolare in Francia, per la produzione del Bordeaux e del Borgogna), per essere utilizzati come vini da taglio.

Agli inizi del ‘900 il “Faro” era considerato un ottimo vino da bottiglia e, poiché col tempo si arricchiva in profumo e aromi, se ne consigliava l’invecchiamento per qualche anno.

Il vino “Faro” venne citato nell’opuscolo redatto dalla “Regia Cantina Sperimentale di Milazzo”, in occasione della Fiera Enologica della città, tenutasi nel 1927.

Seguì la partecipazione, nel 1939, alla IV mostra del mercato dei vini pregiati d’Italia e l’inserimento, nel 1942, tra i vini pregiati d’Italia assieme all’Eloro, al Mamertino e all’Etna, con D.M. del 23 Settembre 1942.

Questi furono i primi riconoscimenti che contribuirono, trent’anni dopo, all’ottenimento della Denominazione di Origine Controllata.

 

RICONOSCIMENTO D.O.C.

Il Faro ottenne il prestigioso riconoscimento DOC solo nel 1976, con D.P.R. del 3 dicembre, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 marzo 1977 n. 61, in cui si delimitò l’intero areale del Comune di Messina. Nella relazione generale del 1972 si presupponeva che tale riconoscimento avrebbe dato nuovo impulso alla coltivazione della vite da vino nel Comune di Messina. Ogni etichetta deve riportare la menzione della Denominazione di Origine Controllata accanto a tutte le altre indicazioni previste per legge, quali:

  1. Regione determinata da cui proviene il prodotto;
  2. Denominazione del prodotto costituita dall’abbinamento della varietà di vite da cui proviene il vino e dalla zona geografica in cui tale varietà è coltivata; Volume nominale del vino;
  3. Nome o ragione sociale e sede dell’imbottigliatore;
  4. Numero e codice imbottigliatore, che può apparire anche sul sistema di chiusura (tappo o capsula)
  5. Nome dello Stato;
  6. Indicazione del lotto;
  7. Indicazioni ecologiche.

TECNICHE DI PRODUZIONE:

La resa massima dell’uva ammessa per la produzione del vino a DOC “Faro”, in vigneto a coltura specializzata, non deve essere superiore alle 10 tonnellate per ettaro. L’acidità totale minima consentita è di 5,00 g/l e l’estratto secco netto minimo è di 22,00 g/l.

I vitigni che si coltivano nella zona per la produzione di questo DOC sono esclusivamente autoctoni, ad eccezione del Sangiovese che però non è essenziale nell’assemblaggio.

L’invecchiamento del Faro avviene in piccole botti di rovere francese, sempre nuove.