Omero, per indicare i popoli civili (distinguendoli dai barbari), li chiamava “Quelli che mangiano il pane…” Secondo Ateneo di Naucrati ad Atene si producevano settantadue tipi di pane, mentre a Selinunte, nel suo periodo di massimo splendore, se ne producevano solo quattordici. E non c’è cibo che regga il paragone con una fetta di pane caldo di forno, con un filo d’olio d’oliva sopra.
Cibo semplice, antico e saggio che va consumato lentamente, meditando, perché su quel boccone c’è la Storia, cibo sacro da sempre. Betlemme, in aramaico, vuol dire “casa del pane”.
Ancora oggi, in Sicilia il pane riveste una funzione sacra, assolvendo a precisi rituali mai scalfiti dal tempo.
Per onorare San Giuseppe, il santo falegname, si ornano le case di molti paesi siciliani con altari: sui lini più candidi, sui pizzi più delicati, si posano piccoli pani di forme fantasiose; strutture architettoniche, colonnine e capitelli, archi ogivali e cupolette come piccole opere d’arte sono fatti di pani infornati dalle donne e dalle bambine della famiglia. Di pane erano gli ex voto dei pellegrini ed in ceste di pane erano servite le uova pasquali, con il pane si celebra l’eucaristia, nel ricordo del corpo di Cristo.
Per il pane si morì, si sovvertirono regimi, si cacciarono re e ancora oggi, nelle famiglie più legate alla tradizione (e non sono poche) si lancia un’occhiata all’orologio, per controllare l’orario in cui si sforna il pane, per averlo caldo per la cena, e si percorrono chilometri per gustare il pane cotto ancora nel forno a legna, pane vero, caldo come un abbraccio, profumato e fragrante, contro i settantadue tipi di pane ateniese se ne fanno oggi almeno duecento tipi differenti.
Fonte: La cucina siciliana dai Sicani agli Arabi: 10.000 anni a tavola fra mito e leggenda